« Tutti ricorderanno lo splendido capitolo ottavo dei Promessi sposi, quando Tonio e Gervaso, entrati in canonica con la scusa di una ricevuta, si fanno di lato e rivelano, agli occhi terrorizzati di don Abbondio, Renzo e Lucia. Il curato non dà tempo a Renzo di dire « signor curato, in presenza di questi testimoni, questa è mia moglie », che afferra la lucerna, tira a sè il tappeto del tavolino, la butta sulla testa di Lucia che stava per apri bocca, [...].
Con questa reazione forsennata (ma in effitti molto calcolata) Abbondio impediva a Renzo e Lucia di sposarsi. Ma perché i due giovani avevano alle fine accetato di montare tutto questo inghioppo? Bisogna tornare al capitolo sesto, quando la bella idea viene ad Agnese: “Ascoltate e sentirete. Bisogna aver due testimono ben lesti e ben d’accordo. Si va dal curato: il punto sta di chiapparlo all’improvviso, che non abbia tempo di scappare. L’uomo dice: signor curato, questa è mia moglie; la donna dice: signor curato, questo è mio marito. Bisogna che il curato senta, che i testimoni sentano; e il matrimonio è bell’e fatto, sacrosanto come se l’avesse fatto il papa. Quando le parole son dette, il curato puó strillare, strepitare, fare il diavolo; è inutile; siete marito e moglie”. Manzoni annota subito dopo che Agnese diceva il vero, e che quella soluzione era stata adottata da molte copie a cui, per una ragione o per altra, veniva rifiutato un matrimonio regolare. Non aggiunge, perché pensava che tutti ricordassero a memoria il catechismo, che tutto questo era possibile perchè, mentre il ministro della cresima o è vescovo o niente, mentre il ministro dell’estrema unzione deve essere un sacerdote, mentre il ministro del battesimo puó essere chiunque non sia il battezzando, il ministri del matrimonio sono gli sposi stessi. Nel momento in cui, con sincera intenzione, si dichiarono uniti per sempre, essi sono sposati. Il parroco, il capitano della nave, il sindaco sono solo il notai della faccenda. »